Nella musica i Beatles hanno rappresentato la rivoluzione, i Rolling Stones la ribellione. Una ribellione che li ha accompagnati per molti anni, fino ad affievolirsi e scomparire con la consapevolezza di essere diventati una multinazionale. Entrambi i gruppi sono frutto di movimenti generazionali, ma se i baronetti di Liverpool hanno sempre trasmesso un’immagine rassicurante, Mick Jagger e soci non hanno cercato mai di apparire come dei bravi ragazzi. Il loro manager, Andrew Loog Oldham, li lanciò con una strategia di comunicazione legata proprio al loro aspetto più trasandato e sovversivo, giocando con la frase di lancio “Lascereste uscire vostra figlia con un Rolling Stone?”. Gli anni Sessanta sono quelli della Guerra Fredda con i missili a Cuba, del conflitto del Vietnam, della contestazione, dell’amore libero e lisergico. Le cinque “pietre” suonano un rock-blues che ben si associa ai tempi, è energetico, accattivante, e poi osano nei testi, scontrandosi con la censura e, nella vita privata, con le forze dell’ordine. Non passa giorno che qualcuno non si lamenti del loro comportamento, che la polizia non effettui perquisizioni nei loro appartamenti. La stampa inglese li demonizza, i giovani li idolatrano e ai loro concerti si verificano sempre violenti tafferugli. Il loro è un gioco pericoloso, che si concluderà con la morte del chitarrista Brian Jones, trovato senza vita nella piscina della sua lussuosa villa, e con l’omicidio di uno spettatore durante il concerto di Altamont. Cosa rimane di quel periodo? Tanti interessanti articoli di giornale e la convinzione che, nonostante i tempi siano mutati, le sonorità si siano evolute, la voglia di cambiare il mondo si sia tristemente placata, il rock’n’roll non è morto. E questo i fan degli Stones lo sanno. Entriamo nella macchina del tempo e andiamo a leggere cosa pensavano i nostri giornalisti della lingua più provocante del rock.