Agosto 1969. Nei giorni in cui i prati di Woodstock vengono ripuliti dai rifiuti lasciati da mezzo milione di giovani accorsi a seguire un festival già leggendario, Miles Davis porta in studio un’orchestra come non si era mai sentita: tre fiati, chitarra, due bassi, tre tastiere elettriche, quattro set di percussioni. Con qualche appunto schizzato su carta e dopo una sola serata di prove, in tre mattine si registra il materiale di “Bitches Brew”: un disco che cambierà la storia della musica, influenzando intere generazioni di musicisti e di ascoltatori. «È ancora jazz?» Quando esce il disco, nella primavera del 1970, si parla della nascita di un nuovo genere musicale, che fonde le sottigliezze improvvisative del jazz con l’energia del rock. Ma la vera novità sta nelle proporzioni, nel respiro sinfonico di brani estesi per venti e più minuti, frutto di un sapiente lavoro di postproduzione che sconfina nella vera e propria composizione. Profetico, psichedelico, progettato come un’opera d’avanguardia e allo stesso tempo pianificato come un grande successo commerciale, “Bitches Brew” è il risultato di una serie di esperimenti durati alcuni anni, durante i quali la visione artistica di Miles entra in una fruttuosa tensione con gli interessi della sua casa discografica, grazie alla sottile mediazione di un geniale produttore, Teo Macero. Enrico Merlin e Veniero Rizzardi, consultando per la prima volta un corposo materiale d’archivio, compresi i nastri originali delle sedute, ricostruiscono la genesi dell’album in un racconto che abbraccia i tre anni in cui Miles conobbe forse l’evoluzione più interessante della sua intera carriera, e ci restituiscono una cronaca accurata delle fasi di preparazione, registrazione e postproduzione, arricchita di foto e documenti, cronologie e discografie. A mezzo secolo dall’uscita di “Bitches Brew” il Saggiatore porta in libreria la nuova edizione, completamente riveduta e aggiornata, di un libro candidato a classico della storiografia jazz.