Quando uscì il primo album di Toni Braxton, nel 1993, molti appassionati di soul e R&B considerarono la cantante un clone poco riuscito e decisamente più commerciale di Anita Baker. In effetti, il timbro vocale e lo stile della Braxton assomigliavano (e assomigliano tuttora, ma in maniera meno evidente) a quelli della più importante figura del soul al femminile degli anni Ottanta. Non si può tuttavia negare alla giovane interprete di aver ben assimilato la lezione (chissà quante volte avrà ascoltato “Rapture”…) e di aver sviluppato un linguaggio che si sposa perfettamente al mondo pop e alle esigenze delle charts. Nonostante le critiche, la statuaria creatura di Kenneth “Babyface” Edmonds e Antonio “L.A.” Reid ha ottenuto un successo straordinario e ha fatto tremare le posizioni delle già affermate Whitney Houston e Mariah Carey, fino a quel momento indiscusse dive del pop-soul. Merito sicuramente anche dell’intuito di Babybaface e L.A. Reid, sempre attenti nel realizzare produzioni moderne, eleganti e di grande presa per il pubblico.
Giunta al terzo album, la Braxton non si sposta di una virgola dal suo stile di sempre, anzi, “The heat” prosegue fedelmente il percorso iniziato con “Toni Braxton” e “Secrets”, aggiornando più che altro il suono con produttori collaudati come Rodney Jerkins, David Foster e lo stesso Babyface. La confezione è ovviamente lussuosa e le canzoni sono decisamente di facile presa, sempre adatte ad un pubblico “adult” affamato di ballad sensuali e notturne. A dire il vero, si percepisce chiaramente che tanto dispiego di mezzi e uomini ha un unico fine: accontentare il grosso pubblico con un prodotto adatto a tutte le stagioni. Il risultato è perciò un soul “plasticoso”, finto, quasi imbarazzante nella calcolata geometria. Siamo insomma distanti dall’inventiva di Lauryn Hill ed Erykah Badu o dalla passionalità di Mary J. Blige. E siamo lontani anni luci dalle eccellenti prove di vocalist meno note ma straordinarie come Bridgette McWilliams o Adriana Evans, che incarnano davvero il nuovo soul.
Anche Whitney Houston nella sua perfezione sembra addirittura più vera e umana della Braxton. Con questo non vogliamo dire che “The heat” è un brutto disco, e certamente troverà anche in Italia tanti estimatori. Certamente il nuovo soul, o meglio, il vero soul non è qui.
COCK ROBIN
Nonostante in molti possano pensare che Cock Robin sia il nome del cantante e leader del gruppo, in realtà lui si chiama Peter Kingsbery, cantautore che, formato un duo con Anna LaCazio, dà vita ad un discreto gruppo californiano, il quale però ottiene maggior successo in Europa che in America. Il nome Cock Robin lo si deve ad un libro intitolato The Marriage of Cock Robin and Jenny Wren del XVII secolo. Senza dubbio il miglior pezzo della loro carriera durata 5 anni (ad esclusione dei “Best” usciti nel 2000 e 2001), è The Promise You Made (1986), un pezzo romantico ma orecchiabile al tempo stesso, che letteralmente fa impazzire in special modo l’Olanda.
E’ qui che i Cock Robin basano il loro successo, esportandolo anche nel resto d’Europa. Nei Paesi Bassi rimangono al primo posto in classifica per due settimane, ed entrano nelle top 10 di quasi tutto il continente, ad eccezione di Italia (18° posto) e Gran Bretagna (solo ventottesimi). A parte il loro primo singolo, When Your Heart is Weak, negli Usa rimangono dei perfetti sconosciuti, e così sono costretti a girovagare per il Nord Europa per tutta la (breve) carriera. The Promise You Made può annoverare anche una cover che ha raggiunto un discreto successo da parte di Kate Ryan.
CRISTOPHER CROSS
Ci sono canzoni che respirano aria di libertà, che evocano sogni di capelli al vento, che creano un immaginario di fughe, di corse a perdifiato su decapottabili che puntano dritto l’orizzonte. Una di queste è, senza ombra di dubbio, Ride Like The Wind, primo singolo pubblicato da Christopher Cross, esordio dell’omonimo cantautore, pubblicato nel 1979. Un classico del soft rock, un best seller senza tempo, che nel 1981, vinse ben quattro Grammy (primato eguagliato solo di Billie Eilish nel 2020), tra i quali quello di disco dell’anno, togliendo la palma del migliore addirittura The Wall dei Pink Floyd.La canzone, il cui testo è declinato in prima persona, racconta la storia di un fuorilegge pluriomicida condannato, che fugge in Messico per salvarsi dalla certa impiccagione, e quindi cavalca come il vento per oltrepassare il confine, in modo che chi lo insegue non possa più arrestarlo.Il testo fu scritto da Cross mentre si trovava in Texas e stava viaggiando sulla strada che separava Houston da Austin, un tragitto che il musicista percorse completamente strafatto di LSD. Questa storia western, in cui il cattivo la fa franca, l’aveva in testa praticamente da sempre.
Cross, infatti, era un appassionato di film e telefilm sul far west, che spesso raccontavano di fuorilegge in fuga inseguiti dallo sceriffo di turno. Il cantante, poi, viveva a San Antonio, città situata vicino al confine con il Messico, paese che nel suo immaginario di ragazzo possedeva il fascino conturbane di luogo di dissolutezza e di grandi sbornie, una sorta di zona franca su cui le autorità non avevano alcun potere.La canzone venne pubblicata come primo singolo dell’album, anche se la casa discografica avrebbe preferito rilasciare per prima Say You’ll Be Mine. Fu il produttore di Cross, Michael Omartian, e a spingere per Ride Like The Wind. Ovviamente, ebbe ragione, e la canzone divenne un clamoroso successo, arrivando al secondo posto delle classifiche americane, battuta, successivamente da Sailing, che conquistò la prima piazza.Nel brano, poi, è presente un cameo di Michael McDonald, corista degli degli Steely Dan, che era stato presentato a Cross dal produttore Omartian. I due si presero subito in simpatia, tanto che Christopher chiese a Michael di contribuire ai cori di I Really Don’t Know Anymore. Poi, quando si accorse che a Ride Like The Wind mancava una voce per il controcanto, invitò nuovamente il suo nuovo amico a collaborare.
Scritto insieme ad Alberto Riva, giornalista e critico musicale che per cinque anni ha intervistato e seguito Rava in giro per il mondo, è il primo libro sul poeta della tromba per eccellenza, dagli anni Sessanta, quando il ragazzo della buona borghesia torinese inizia la sua fuga in Europa attraverso il free-jazz, fino a Buenos Aires e New York, dove vive fino alla fine degli anni Settanta. Alle vicende personali, […]