Artisti e Band

Venerdì in VINTACE con DJ Angelino

today26 Novembre 2021 2

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Oggi parlerò di un personaggio radiofonico che ha scoperto talenti sia discografici che radiofonici, si tratta di:

Claudio Cecchetto

Per essere un grande talent scout, devi essere tu stesso un grande talento. E lo è certamente Claudio Cecchetto, nato a Ceggia il 19 aprile 1952 e dunque del segno zodiacale dell’Ariete, produttore discografico, disc jockey, conduttore radiofonico, cantante e conduttore televisivo italiano. Cecchetto è stato conduttore di svariate edizioni dei più importanti festival musicali italiani, dal Festival di Sanremo al Festivalbar, e di numerose trasmissioni musicali italiane, nel corso della sua carriera ha fondato e portato al successo Radio Deejay e Radio Capital. Cecchetto è conosciuto anche per essere stato il talent scout di numerosi artisti musicali e televisivi famosi, tra cui Gerry ScottiJovanottiFiorelloAmadeus, Nicola Savino, Marco Baldini, gli 883, Max Pezzali, Paola & Chiara, Sabrina Salerno, Sandy Marton, Tracy Spencer, Taffy, Via Verdi, Luca Laurenti, Marco Mazzoli, Daniele Bossari, Fabio Volo, Leonardo Pieraccioni, DJ Francesco (Francesco Facchinetti) e i Finley. Il primo personaggio musicale scoperto da Cecchetto è stato Sandy Marton, che ha incontrato un notevole successo internazionale con la canzone “disco” People from Ibiza. Nel corso degli anni ottanta ha lanciato, attraverso le sue trasmissioni, Gerry Scotti, Amadeus, Leonardo Pieraccioni e Jovanotti, di cui ha curato anche la produzione discografica fino a metà anni novanta. Nel campo della musica ha poi portato al successo Sabrina Salerno, i Via Verdi, Taffy e Tracy Spencer. Ha fatto conoscere al grande pubblico gli 883, e nei primi anni novanta ha anche portato al debutto radiofonico Fiorello, affiancato da Marco Baldini, che ha poi ottenuto un clamoroso successo grazie alla trasmissione televisiva Karaoke.

Righeira

Nel 1983 Stefano Righi, in arte Johnson Righeira, diventò celebre come «uno dei due che cantavano “Vamos a la playa”». L’altro era Michael Righeira, da cui si è separato nel 2016. Oggi la loro hit “L’estate sta finendo” è un coro da stadio cantato in tutta Europa «La gavetta, in un modo o nell’altro, si fa sempre: io ho avuto successo subito e l’ho fatta dopo. La sto facendo ancora adesso. Non c’è una controprova, però è andata così», dice Stefano Righi, che nell’ottobre del 1982 partì per il militare con il suo nome anagrafico e quando uscì dalla caserma, un anno più tardi, era conosciuto da tutti come Johnson Righeira, «uno dei due che cantavano Vamos a la playa». Aveva 23 anni, un nome inventato al liceo durante l’ora di educazione fisica e un fratello acquisito  Stefano Rota, in arte Michael Righeira — con il quale conquistò la vetta delle classifiche italiane per sette settimane: insieme componevano un gruppo, i Righeira ovviamente, che avrebbe fatto la storia della musica italiana e sarebbe diventato capostipite dell’Italo disco, un genere musicale apprezzato anche all’estero. «Sono un doppio privilegiato, perché ho avuto successo all’epoca e ho avuto la fortuna di fare canzoni evergreen, che sono famose ancora oggi. Se chiedi a un ragazzino chi erano i Righeira  probabilmente non lo sa, ma se gli fai sentire una nostra canzone la riconosce subito», ammette Righi, un’ondata di parole, emozioni e ricordi («pochi, perché non ricordo niente», dice). A cominciare proprio da quell’estate del 1983, quando era costretto a prendere le licenze dall’esercito per andare al Festivalbar, ma poi la sera doveva tornare in caserma. «Il successo è stato un flash, non ho avuto neanche il tempo per pensare: stavo facendo la naja, la mia vita stava cambiando e io non lo vedevo», ricorda. «A un certo punto non ci stavo più dietro: tramite il cappellano militare di Bellinzago riuscii a farmi mandare all’ospedale militare di Baggio fingendo di avere una sindrome depressiva. Avevo bisogno di 20 giorni per fare la finale del Festivalbar e per registrare l’album, dissi che ero uno studente universitario e che non ce la facevo più, ma capii che mi avrebbero rimandato indietro». Il primo giugno, quando i Reds hanno vinto la Champions League, oltre ai cori storici i tifosi inglesi hanno intonato anche Allez, Allez, Allez, la cover di L’estate sta finendo che un elettricista di Liverpool, Jamie Webster, aveva introdotto nei ritrovi per tifosi fino a farla diventare la colonna sonora delle ultime due cavalcate europee della squadra. «Fa piacere, ma mi sento un po’ come il milite ignoto: mi dispiace che la gente non sappia che quella canzone l’ho scritta io», afferma Righi, tifoso juventino che grazie ai supporter del Liverpool è finito — «per la prima volta», ride, «chi ci avrebbe mai pensato» — persino sul New York Times.

Depeche Mode 

Sono stati tra i pionieri del pop elettronico, agli albori degli anni 80. Hanno creato un suono inconfondibile, che è sopravvissuto a crisi personali, mutamenti di mode e svolte generazionali. Dopo oltre trent’anni d’onorata carriera, la ditta Depeche Mode da Basildon è ancora in pista. L’elisir di lunga vita della band che inneggiava ai “Blasphemous Rumours La storia di una delle band-chiave del synth-pop britannico inizia nel 1977 quando Andrew Fletcher e Vince Clark incontrano Martin Gore e insieme fondano i Composition Of Sound, nome che cambieranno (fortunatamente) qualche mese dopo, quando i tre sentiranno la necessità di un frontman, rinvenuto in un giovanotto che si cimenta in un locale con la cover di “Heroes” di Bowie. La voce calda di Dave Gahan entra nel gruppo, che decide di abbandonare definitivamente gli strumenti acustici per dedicarsi a tempo pieno all’uso dei sintetizzatori e della musica elettronica. Il riferimento principale dei primi Depeche Mode sono decisamente i Kraftwerk, e il successo riscosso durante le prime esibizioni dal vivo fa cercare alla band una casa discografica che possa pubblicare i loro primi lavori.
Quando li vede esibirsi in un locale con dei synth appoggiati su supporti di fortuna, Daniel Miller della Mute si stupisce del valore della prima canzone ma si aspetta che, come in tanti altri casi, si tratti della classica apertura col botto di chi ha una sola carta da giocarsi. Quando però seguono un secondo brano e poi altri ancora, allo stesso livello, i giochi sono fatti: nasce così un sodalizio senza il quale la storia dei Depeche Mode non sarebbe quella che conosciamo.

Nel 1981 viene dato alle stampe il primo singolo, “Dreaming Of Me”, prodotto dallo stesso Miller. Dopo l’uscita del secondo singolo, “New Life”, i Depeche Mode capiscono che l’ascesa al successo si sta concretizzando. Lasciano dunque le loro occupazioni, dopo essersi esibiti alla famosa trasmissione della Bbc “Top of the pops”. È il terzo singolo a dare lo slancio definitivo ai Mode, che piazzano “Just Can’t Get Enough” all’ottavo posto della chart inglese. Il brano è il primo classico del gruppo, con una melodia molto semplice e accattivante (sarà anche uno degli inni principali delle discoteche gay dei primi anni 80). Nell’ottobre del 1981 gli fa seguito il debutto ufficiale su album.Brani come “Everything Counts” e “Master And Servant” riescono a traghettare nell’ambito del singolo da discoteca queste innovazioni, producendo un effetto di straniamento che è quello della migliore pop music: sperimentazione sui suoni e ritornelli da cantare in coro. Il melodismo travolgente degli esordi non è mai tradito o messo in discussione, ma è anzi esaltato da suoni corposi, oscuri, sexy. Una formula d’oro per una band che saprà  far convivere successo e qualità artistica, alla faccia dei detrattori e degli alfieri della classicità rock.
Ad oggi sono ancora sulla cresta dell’onda con il loro sound rock elettronico.

Scritto da: admin

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