Gli Earth, Wind & Fire nascono nel 1969 intorno alla figura di Maurice White e del fratello Verdine, che riescono ad ottenere un contratto con la Warner Bros. ed esordire nel 1970 con l’album omonimo. Dopo un secondo lavoro uscito l’anno successivo per la stessa casa discografica, la band cambia di formazione, con l’entrata dell’ottimo vocalist Philip Bailey, e passa alla Columbia, per la quale esce nel 1972 l’album “Last Days and Time”, un disco discreto, come anche il successivo “Head to the Sky”, ma che non riescono ancora a conquistare il successo sperato. La musica funky-soul proposta dal gruppo, ricca di fiati e contaminazioni pop, R&B e jazz, comincia a far breccia tra il pubblico con “Open Your Eyes”, ma esplode fragorosamente con lo splendido “That’s the Way of the World” nel 1975 e l’incredibile live “Gratitude” uscito nello stesso anno.
Da questo momento in poi il complesso infila una serie di lavori strepitosi, sia per qualità musicale che a livello di vendite, arrivando in cima alle classifiche con quasi tutti i singoli usciti tra il ’75 e il ’79. Sul finire della decade il sound degli EWF risente nettamente dell’influenza del pop californiano. Nascono così due dischi come “I am”(1979) e “Faces”(1980), quest’ultimo un eccellente doppio album poco amato dalla critica, che conclude il periodo migliore della band. I lavori che seguono sono poco incisivi, anche se, sia “Raise”(1981) che “Powerlight”(1982), contengono alcuni buoni brani, mentre é assolutamente deludente “Electric Universe” del 1983, che si rivela un fiasco commerciale e porta allo scioglimento del gruppo. inizia una carriera solista di buon successo, mentre Maurice White prosegue come produttore e compositore, pubblicando un solo disco come interprete nel 1985.
Philip Bailey
Gli Earth, Wind & Fire si riformano nel 1987, pubblicando un nuovo album, “Touch the World”, ma la musica del gruppo non é più la stessa, persa tra sonorità moderne, spunti di soul e R&B elettronico con addirittura alcuni episodi di rap. Lo stesso discorso vale per i lavori successivi, “Heritage”(1990), “Millenium “(1993) e “In the Name of Love”(1997), che non riescono a ricreare la magia di un tempo e lasciano l’amaro in bocca ai vecchi fans della band. Da notare che nella discografia viene inserito un solo Greatest Hits, quello del 1978, perché ricco di inediti, mentre non vengono considerate le innumerevoli Collections uscite negli anni ’80 e ’90.
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