«Lo scarso ricambio generazionale delle scene sottoculturali è da tempo oggetto delle attenzioni sia di alcuni sociologi, sia degli individui che ne fanno parte. Fanno sorridere, in quest’ultimo campo, le ipotesi dei più ingenui, che non cogliendo i cambiamenti sociali in corso puntano il dito contro sé stessi – autoaccusandosi di snobismo o addirittura di nonnismo – oppure direttamente contro i giovani, colpevoli di essere sempre più massificati e di interessarsi solo a fenomeni effimeri. Chi ha maggiori capacità di analisi non può invece che concordare con quegli studiosi che individuano, tra i fattori dell’invecchiamento di certi ambiti, la facilità e la rapidità con cui è oggi possibile soddisfare le proprie curiosità stilistiche e musicali, che tolgono fascino alla lenta e faticosa scoperta – mi riferisco, ovviamente, all’era pre-Internet – della storia e delle caratteristiche delle scene verso cui si prova un’istintiva attrazione. Mentre alcuni appaiono rassegnati di fronte alla possibile scomparsa delle sottoculture, altri si interrogano sul da farsi, senza però giungere a conclusioni degne di nota. Dal canto nostro, riteniamo sia forse più utile non lasciarsi sfuggire ciò che hanno da offrire le scene reali, per ciò che sono oggi e non per come sarebbero se la realtà assecondasse i nostri desideri. Il fatto che molte persone formatesi tra gli anni ’80 e i 2000 inclusi abbiano mantenuto le loro passioni giovanili, magari approfondendole e interessandosi anche ad altro – ad esempio scrittura, disegno, fotografia, cinematografia – significa che oggi possiamo godere il frutto delle loro esperienze e competenze sotto forma di saggi, racconti, fumetti, raccolte fotografiche e addirittura film. Va bene, insomma, tornare nel garage; va meno bene farlo con l’ottica di non uscirne più.» (Dall’introduzione di Flavio Frezza)