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“Venerdì in Vintage”-DJAngelino

today14 Aprile 2023 1

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 Industry

Nella lunga e affascinante storia del rock e delle band che fin dagli anni ’50, assieme ai cantanti solisti, hanno caratterizzato il mercato discografico mondiale siamo ora a parlare del fenomeno delle cosiddette “meteore”, ovvero di quegli artisti o quelle band che hanno vissuto fama e gloria per un breve o brevissimo periodo ma che comunque grazie ad una loro canzone o due o ad un loro album sono rimaste impresse nella memoria collettiva.

Iniziamo subito con una band, attiva fin dalla fine degli anni ’70 originaria di New York, che ha saputo con un solo album e un paio di hit farsi largo ed essere ricordata da tutti gli over 40 dopo oltre 35 anni dalla pubblicazione del loro unico disco : questa band sono gli Industry.

La prima versione della band, formatasi nel 1978 a Long Island – New York, aveva il nome di Industry Complex ed era formata dal batterista e fondatore Mercury Caronia e dal cantante e chitarra ritmica Sean Kelly, ai quali si aggiunse poco dopo il compositore e chitarrista Andrew Geyer.

Il trio si cominciò a muovere nell’area di long island suonando in piccoli club una sorta di pop rock elettronico e nel 1979 decise di cambiare il proprio nome in Industry.

Le idee non mancavano di certo, soprattutto Caronia era un patito di musica elettronica sperimentale e assieme a Geyer, abile anche come ingegnere del suono cominciarono, a comporre musica che si rifaceva al british pop rock elettronico.

La mente di Caronia era più aperta degli altri due, i quali invece volevano mantenere un suono più tradizionale e vicino ai gusti americani, ed infatti l’anno successivo i due lasciarono la band per intraprendere nuovi progetti.

Nel 1981, dopo che Caronia aveva inciso alcune tracce rudimentali ma efficaci con il solo ausilio del synth e della batteria, ingaggiò tramite locandine un chitarrista, Brian Unger, un cantante e tastierista Jon Carin e un bassista Rudy Perrone. Il quartetto aveva le idee chiare e le composizioni di Caronia vengono riarrangiate dal talento di Carin e degli altri 2 elementi che presto hanno pronto il materiale per una casa discografica.

La band inizia ad avere un certo seguito nell’area newyorkese proponendo un efficace miscuglio di synthpop, elettronica e rock. Nel 1982 un produttore della Capitol records durante una loro esibizione in un club di Yonkers viene folgorato dalla musica proposta dal giovane quartetto e propone loro un contratto discografico con la sua importante etichetta. La voce di Carin piace molto e anche il suo modo di suonare le tastiere, innovativo e creativo, cosi come la sezione ritmica di Perrone e Caronia (di chiare origini italiane…) molto pulsante ed efficace, coadiuvata dalla sapiente chitarra di Unger, sempre molto precisa e puntuale negli interventi e che ricorda a tratti quel genio di Manzanera dei Roxy music per le trame e l’utilizzo degli accompagnamenti melodici. Siamo agli inizi del 1983 e il disco è pronto all’uscita. Esce in tutto il mondo il loro singolo “State of the nation”, un motivo accattivante e splendidamente arrangiato che non fatica a scalare tutte le classifiche raggiungendo soprattutto in Europa e in Asia le primissime posizioni delle top ten. La band entra a far parte del gotha della musica pop di quell’anno e il loro album d’esordio (che poi sarà l’unico) “Stranger to stranger” diventa uno dei più venduti al mondo assieme agli album di artisti come Talk Talk, Inxs, Van Halen, Billy Idol…

“Venerdì in Vintage”

OLE OLE

Olé Olé era un gruppo di musica pop formata nei primi anni 1980 i cui ranghi sono passati da cantanti come Vicky Larraz e Marta Sanchez , entrambi attivi come solisti. Olé Olé La storia inizia nel 1982, quando l’etichetta CBS ha deciso di creare un nuovo gruppo di techno-pop in vena di Mecano . Responsabile per l’elezione dei membri sarebbe il produttore argentino Jorge Alvarez , che ha anche prodotto i primi dischi dei Mecano . Così incontrare Luis Carlos Esteban , che è venuto dal gruppo Tackle, Emilio Estecha , plastica e il gruppo Tarodo Juan . Come cantante ha scelto una giovane voce potente e di grande carisma, Vicky Larraz . L’argentino Gustavo Montesano essere incorporato poco dopo. Nel suo paese aveva fatto parte del gruppo rock Crucis .

La pistola di partenza per Olé Olé potrebbe No controles, la canzone Nacho Cano dà il gruppo.,pubblicato nel febbraio 1983, è diventato un successo immediato e ha lanciato la popolarità del gruppo. Questa canzone è stata anche un successo in Italia.

Il secondo singolo sarà una canzone che ha seguito la stessa linea di techno-pop, Dame. Nella registrazione e la promozione della già incorporare Gustavo Montesano .

Dopo questi due singoli per avanzare la loro Lp omonimo, Olé Olé prodotto come tutti i seguenti elementi da accordi Jorge Alvarez e Luis Cobos pubblicati. Le canzoni sono state composte principalmente da Luis Carlos Esteban e Gustavo Montesano . 

“Venerdì in Vintage”

Gruppo Italiano

Tropicana funziona. Per usare una terminologia che ritorna più volte in scena, Tropicana – lo spettacolo di Frigoproduzioni presentato a Castrovillari nel 2017 e riproposto recentemente anche al Festival 2030 – “funziona”. Scorre liscio su un’architettura drammaturgica sempre riconoscibile ma stratificata, alterna con sapiente dosaggio momenti di dirompente comicità a dialoghi surreali e stranianti, imbastisce un raffinato gioco di specchi fra realtà (realtà della vita dei protagonisti, ma anche realtà della cultura italiana come “fenomeno storico”) e teatro (che è innanzitutto sinonimo di finzione, ma in secondo luogo significa sistema del teatro, industria dello spettacolo).
Tra l’altro, sarebbe interessante capire quando e come ha iniziato a diffondersi l’utilizzo di questo verbo, andando a indicare un principio di prestazione e massima efficacia in svariati campi. “Funziona”, ovvero gira, “acchiappa”, è fatto come non poteva essere diversamente. Forse ha avuto origine proprio in quegli anni ‘80 passati alla storia (o, forse, a questo punto sarebbe meglio dire entrati in un particolare tipo di narrazione) come periodo del riflusso, un periodo in cui il mondo della cultura iniziava a confermarsi a certe logiche pubblicitarie e comunicative e da cui prende peraltro spunto lo spettacolo Tropicana. Quindi “funziona”, cioè fa successo. Può essere uno slogan, una strategia d’intrattenimento o – per traslare all’oggi – un post Facebook: viene visualizzato, viene condiviso, prende tanti like, e tant’è. È appunto funzionale, anzi funzionante, rispetto a un determinato obiettivo. Ma, allo stesso tempo, è anche il segno di una “aderenza astrattiva”. Cioè, passa spesso a indicare un qualche rapporto con l’ineffabile, con il mistero della riuscita. Quel particolare verso, un passaggio (anti-)narrativo o una scena all’apparenza ingiustificata “funzionano” perché tradiscono tutti i codici finora conosciuti, eppure esprimono con chiarezza lampante l’inevitabilità del tradimento. Rendono evidente il “limite dell’incomprensione”, di cui però – grazie a meccanismi inspiegabili – facciamo una comprensibile e ragionevole esperienza.

Tropicana, in qualche modo, parla anche di questo. O meglio, si colloca nella frattura di una simile ambiguità. Dicevamo, prende spunto dagli anni ‘80 poiché costruisce l’intero spettacolo su una canzone che potrebbe facilmente racchiudere l’essenza del periodo: il singolo del misconosciuto Gruppo Italiano è, con la sua orecchiabilità e le sue sonorità a ritmo calypso, un inno alla spensieratezza e alla voglia di evasione. Frigoproduzioni gioca con un mescolamento di identità. Gli attori si presentano come i componenti della band autrice del brano Tropicana, ma sono evidentemente anche la compagnia che quarant’anni dopo mette in scena uno spettacolo omonimo. Tanto che a un certo punto si rivolgono direttamente al pubblico per chiarire: «Noi non siamo il Gruppo Italiano!». L’avete capito, no? Eppure, non sembrano sicuri neanche loro, gli attori, perché troppe sono le analogie con il gruppo musicale: giovani (per i criteri dell’industria spettacolare), schiacciati dal dovere del successo, in precario equilibrio interno per aspirazioni divergenti o dissapori. Destinati comunque al successo, poiché arguti e in connessione con lo spirito del tempo, ma al successo proprio delle meteore, giusto lo spazio di una breve illuminazione come breve è il nostro rapporto con uno spettacolo che sembra pensato per folgorarci in un lampo e lasciare dietro di sé solo scie. Ma c’è un equivoco di fondo. La canzone Tropicana, almeno se si analizza il suo testo, non è un inno alla gioia e alla spensieratezza. Nella prima parte dello spettacolo, gli attori sono presi appunto dal “confezionamento” del brano. Si discute di quale musica e ritmo sarebbero più appropriati per la storia che si racconta. Francesco Alberici (che nella finzione è l’autore del testo sia della canzone che dello spettacolo) parla di come sotto ci vedrebbe bene un “crescendo elettronico e angosciante”. Daniele Turconi, che impersona il chitarrista e arrangiatore del gruppo (il più attento alla possibile “vendibilità” del pezzo), gli risponde che lui aveva invece pensato a delle sonorità caraibiche, un ritmo calypso leggero e incalzante. Tanto è una canzone estiva, no? Stiamo descrivendo un’isola, dei balli… Ma come? Ma avete capito quello che c’è scritto? C’è qualcuno che lo ha letto, il testo? E qui Alberici sembra rivolgersi più al pubblico in sala che ai propri “compagni di palco”…
In effetti, se si presta un poco di attenzione, ci si accorge di come Tropicana sia un piccolo racconto distopico. I protagonisti stanno ballando su un’isola e al ritmo di un’orchestrina jazz, questo sì, intanto però c’è un vulcano che erutta. La lava scorre e scioglie tutto ciò che incontra sul proprio cammino, mentre come se non bastasse arrivano anche un uragano e un’esplosione atomica. La canzone di Gruppo Italiano è al cento per cento una “cartolina dall’apocalisse”!
Ma l’elemento ancora più dissonante è che nessuno dei personaggi sembra accorgersi di quello che sta accadendo.

“Venerdì in Vintage”

Scritto da: admin

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