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“Venerdì in Vintage”-DJAngelino

today24 Febbraio 2023 1

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THE SUGARHILL GANG

 La nascita dell’hip hop è un evento mitologico. Come il Natale, lo si fa coincidere con un momento convenzionale. Anche se ogni studioso obietta – giustamente – che tutto partì nel Bronx coi party da strada con DJ Kool Herc o nelle discoteche con le invenzioni di Afrika Bambaataa o altri ancora che non hanno avuto altrettanta fortuna, il momento della Rivelazione (cruciale in ogni culto che si rispetti) è certamente Rapper’s Delight. E il brano della Sugarhill Gang è un punto di partenza eccellente anche perché contiene alcuni punti cardinali rispetto ai quali collocare tutto ciò che è venuto dopo. Anzi, facciamolo subito: prima di raccontare la storia, iniziamo da confronti e riflessioni.Nel dna di Rapper’s Delight NON ci sono campionamenti ed elettronica. C’è invece la disco music più nobile – o la black music più commerciale (sono punti di vista. All’epoca prevaleva il secondo). NON c’è un uso creativo di un’idea altrui. C’è invece un uso brillante, ma pragmatico di qualcosa che sta già funzionando. NON c’è critica sociale. Ci sono smargiassate da giovani maschi. NON c’è il ghetto pieno di fermenti. C’è la periferia desolata. NON c’è sentimento. C’è divertimento. NON ci sono accenni alla droga.

C’è un accenno molto rapido al sesso (nella versione extralarge, Big Bank Hank si vanta del suo supersperma). NON c’è dissing di rivali (escluso Superman, accusato di avere un pisello vermiforme, specie in confronto al rapper. È sempre stato un genere per superdotati). C’è invece respekt per artisti funk e soul (Captain Sky, Bar-Kays). NON ci sono brand di abbigliamento. Ci sono due marche di automobili (Cadillac e Ford Lincoln). NON contiene le parole “bitch” e “fuck”. Contiene le parole “rap” e “hip hop”.

NON c’è millanteria di pistole e amici gangsta. Ci furono vere minacce armate agli autori legittimi della musica (gli Chic). NON c’è un producer/dj dall’intuito implacabile alle spalle di tutto quanto. C’è una donna, con un passato di cantante, alle spalle di tutto quanto. Infine, NON fu un’operazione discografica di una major. Fu l’operazione discografica di una piccola etichetta.

Omd

Liverpool, autunno 1978. Paul Humphreys e Andy McCluskey sono due ex-compagni di scuola poco più che diciottenni con un’unica passione: la musica elettronica tedesca. Sin dai tempi del liceo i due giovani, anziché porsi il problema di imparare a suonare strumenti, li collezionano, in indiretta osservanza ai dettami del punk. Più che il punk, infatti, può la folgorazione occorsa tre anni prima. L’11 settembre 1975, i Kraftwerk si esibiscono all’Empire Theatre e i giovanotti sono in prima fila, così infatuati da riuscire nell’impresa, tutt’altro che facile, visti i personaggi, di fare la loro conoscenza. Quello stesso giorno nasce l’amicizia tra Andy e Karl Bartos, che sfocerà in una collaborazione datata 1993 nel progetto post-Kraftwerk di quest’ultimo, gli Electric Music.
Il feticismo tecnologico, unito a una certa mancanza di danari, li spinge dunque a raccattare qua e là qualsiasi aggeggio che emetta suoni sintetici, purché a prezzi abbordabili. Con in testa gli irraggiungibili macchinari dei musicisti di Dusseldorf, la premiata coppia riesce ad acquisire, fra ordini per corrispondenza, usati sicuri e sussidi di disoccupazione tutti investiti in rate, un synth Korg MS20, un organo elettrico Elgam Symphony, un Korg Micro-Preset, un vecchio Selmer Pianotron e una drum machine Roland CR-78. Completa il lotto il basso elettrico imbracciato da Andy, unico strumento convenzionale di un set che, fatta qualche eccezione, potremmo anche definire di fortuna.

Nel mese di ottobre del 1978 accade che i due, spesso chiusi in casa a smanettare tra leve e jack, abbiano l’opportunità di esibirsi all’Eric’s Club, il locale più frequentato di Liverpool, sul palco ove già si avvicendano i nomi caldi che avrebbero fatto la storia della stagione post-punk.
E’ probabile che l’occasione venga offerta proprio a Andy, in virtù di un suo breve trascorso con Dalek I Love You che, assieme ai Teardrop Explodes e agli Echo & The Bunnymen, movimentavano la scena del Merseyside.
Le idee non sono ancora bene a fuoco, il sound è grezzo e fortemente debitore, guarda caso, dei Kraftwerk di “Radio Activity” (dalle cui note di copertina proviene uno dei nomi del complesso, VCLXI che si alterna all’altrettanto eccentrico “The Messerschmitt Twins”: entrambi diventeranno dei titoli di canzoni degli Omd), le parti cantate ancora diluite tra le frequenze prodotte dalle onde radio e dagli oscillatori, e tuttavia imbevute di un’inaspettata dose di orecchiabilità.

Oscure manovre nei territori del pop. La sostanza e l’originalità dissimulate in quelle incestuose manipolazioni non sfuggono al re mida della Factory, Tony Wilson, il quale propone loro un contratto per un singolo. Il nome che si dà la band è Orchestral Manoeuvres In The Dark, dal titolo di una delle loro prime composizioni.
L’unica testimonianza ufficiale di questa fase è data dal raro Ep “Free Artefact – The Unreleased ’78 Tapes”, distribuito postumo nel 1980 come omaggio allegato alle prime diecimila copie del secondo album.

IMMAGINATION

Chi di voi si ricorda la band dance degli Imagination ?  Band inglese che negli anni ’80 ha spopolato nel mondo della dance con brani come “Body Talk”, “Just An illusion”, “Flashback”, “Music and Lights” e tanti altri.  Il leader e fondatore della formazione Leee John torna con nuovi progetti. Discotecari, musicofili, cantanti, musicisti più disparati, belli, brutti, etero, gay, anarchici, comunisti, fascisti, centristi, non schierati, incensurati e non, ecco a voi gli Imagination! Fautori della fortunata Disco music degli anni ’70, trasportata nei meno accoglienti anni ’80, suonatori eccellenti, cantante magistrale, canzoni che somigliano a calamite giganti posizionate davanti a gente che ha più tratti in comune con il ferro di quanti non ne abbia con la carne. Gli Imagination sono questo e molto altro. Provate a organizzare un party anni ’80 e non suonare un brano di questa band e potrete dire addio definitivamente ai vostri arti.

 

Gli Imagination sono storia: non si discute. Sono fondamentali, sia per la Disco che per il Pop. Possono considerarsi non a torto come la locomotiva del sound Disco music degli anni ’80. Voci in falsetto, batteria lenta, trascinata ma carichissima, sottofondo di sintetizzatori e tastiere elettroniche sovrapposti e intrecciati in un complesso puzzle, melodia portante di pianoforte o anch’essa di  tastiera, linea di basso molto grave, sia acustica che elettronica, chitarre rare e di contorno. Ecco gli ingredienti degli Imagination, più (ovviamente) l’elemento segreto di ogni band o cantante che si rispettino. ‘origine degli Imagination vede la luce quando il corista Lee John ed il musicista Ashley Ingram si trovano a lavorare insieme come coristi di supporto per alcuni gruppi importanti. E’ allora che nasce l’idea, affiancati dal batterista Errol Kennedy, di creare il gruppo. Gli Imagination (band inglese vi ricordo: NON AMERICANA) disintegrarono ogni record, infilando un singolo come “Body talk” (1981) nella top list della hit parade di tutta Europa (USA inclusi stavolta). “Body talk” fa parte della serie “intramontabili” della Disco music della storia. Brano un po’ povero di idee e lunghetto, “Body talk” comunque aveva non pochi punti di forza. Un groove trascinante e ipnotico, linea di basso al pianoforte (con esso anche gli arpeggi sovrapposti alla melodia), voci maschili in falsetto che si sollevavano dalla giungla ombrosa di suoni artificiali, sintetizzati ma soul al 100%,   bassi capaci di spostarti, leggerezza musicale che nasconde forze occulte. “Body talk” è la danza della notte: quando tutti i corpi si muovono, fradici di sudore, immersi tra gli alberi della foresta, illuminati dalla luce fioca e traballante delle lampade ad olio e incitati dai rituali dello sciamano che chiama gli spiriti dell’oltretomba a vivere ancora una notte con i mortali c’è un solo linguaggio che vale, che è universale: quello del corpo. Questo è quello che riassume “Body talk”.

L’anno dopo (1982) gli Imagination superano loro stessi: sfornano altri due brani fondamentali come “Music and lights” e “Just an illusion”. Il primo caratterizzato da una dimensione di maggiore ballabilità, il secondo da una presenza illusiva di calma e benessere quando invece nasconde lo stesso ipnotico e leggendario groove di “Body talk”. “Music and lights” accompagna l’ascoltatore in un viaggio all’interno della discoteca. Gli mostra le meraviglie, i punti oscuri e nascosti, le dimensioni levigate e le fantasie lisergiche incatenate all’interno. Chi non capisce la discoteca è perchè non ha mai ascoltato “Music and light.



Scritto da: admin

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